La Storia
A metà degli anni settanta alcuni abitanti di Badia a Pacciana vollero fare un po’ di luce sul passato del loro paese e sulla storia di quei vecchi edifici attorno alla Chiesa che, si diceva, fossero i resti di quello che molti anni prima era un convento dal quale, per un certo periodo del medioevo, furono controllate anche le sorti della vicina e allora potentissima Pistoia… ma quello che si sapeva veniva solo dai racconti degli anziani, magari narrati a veglia davanti al fuoco di un camino nelle lunghe serate d’inverno: racconti che evocavano storie lontane e misteriose, storie di frati che scrutavano l’orizzonte dalla torre di Badia, storie di passaggi segreti, ponti levatoi, intrighi e giochi di potere, incendi e assedi…Districandosi tra archivi e biblioteche di mezza Toscana, scoprirono che quei racconti non erano molto lontani dalla realtà.
Si venne a sapere che quegli edifici così malridotti erano ciò che rimaneva di una potente abbazia benedettina, le cui origini risalivano a prima dell’anno mille. Si scoprì che nel 1090 l’abbazia entrò a far parte della Congregazione Vallombrosana e che nel medioevo furono proprio i monaci di Badia a Pacciana a bonificare la piana tra Pistoia e Prato. Si scoprì che quell’arco che tutti i Badiani chiamano “Portichino”, era la porta di ingresso dell’abbazia, unica parte superstite delle mura che la rendevano una sorta di fortezza.
Quelle ricerche riportarono alla luce le vicende di Ormanno Tedìci, abate di Pacciana nei primi anni del’300, che ebbe un ruolo non secondario nelle vicende della Pistoia di allora. In quel periodo Pistoia era dilaniata all’interno dalle sanguinose lotte tra Bianchi e Neri, mentre dall’esterno era pressata dalle mire espansionistiche di Firenze e, soprattutto, Lucca, allora governata dal celebre e temuto Castruccio Castracani. Le scorribande di quest’ultimo stavano mettendo in ginocchio la campagna pistoiese, riducendo alla fame contadini e artigiani. L’abbazia di Pacciana dava allora sostegno e lavoro a decine di famiglie ed era punto di riferimento per tutta la popolazione rurale della piana compresa tra Pistoia e Prato. Fu così che l’abate Ormanno si fece carico della disperazione della sua gente e, con un’abile operazione strategica e diplomatica, riuscì a far penetrare i contadini di Pacciana dentro le mura di Pistoia e ad occupare la città. L’operazione colse di sorpresa i governanti filo-fiorentini che furono costretti alla fuga, lasciando la città in mano all’abate che fu eletto Capitano del Popolo. Nello stesso tempo l’abate riuscì a sancire una tregua con Castruccio, che permise così la ripresa di una vita normale in città e, soprattutto, del lavoro e della serena quotidianità nelle campagne.
Era l’Aprile del 1322 e Pistoia si apprestava a vivere l’ultimo periodo di città libera, prima di passare, pochi anni dopo, definitivamente sotto l’orbita fiorentina. L’abate Tedìci, ormai Signore della città, non volle però mai lasciare l’abbazia, che così, in un certo senso, divenne la reale sede del governo cittadino.
Cristiano Mazzei